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Risposte esame Chimica Prof. Angelini Politecnico Torino, io le posto, se qualcuno le trova tanto di guadagnato per lui

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Poros_7
view post Posted on 15/10/2009, 14:01




Di seguito le risposte alle domande dell'esame di Chimica della Prof. Angelini presso il Politecnico di Torino. Sono le risposte alle domande che dà per prepararsi, ma all'esame sono pressocché identiche. Le risposte sono ottime (testimonia il voto all'esame). Potete perfino studiare direttamente da queste, tanto non serve altro, sapete bene perché. Non ho fatto pubblicità, chi le trova stia zitto e meglio per lui. (conta come buona azione? ;-) )

P.S.: Perdonate gli errori di battitura e grammatica, ma non mi va neanche di rileggerle!!!!!!!

1. Illustrazione del sistema periodico e delle proprietà degli elementi

Si definisce sistema periodico lo schema di classificazione degli elementi chimi-ci in successione crescente di numero atomico, ovvero il numero di protoni con-tenuti nel nucleo dell’atomo, organizzato in una struttura formata da righe oriz-zontali chiamate periodi e colonne verticali dette gruppi. Ogni casella del siste-ma periodico ospita un elemento differente (nella stessa casella sono inclusi an-che gli isotopi dell’elemento) e in essa viene riportato il simbolo dell’elemento, il numero atomico, il peso atomico, il numero di ossidazione e altre informazioni (come l’elettronegatività, la temperatura di fusione, ecc).
Il primo a pubblicare una tavola per classificare gli elementi conosciuti fino ad allora fu Mendeleev nel 1869: egli constatò che se gli elementi vengono disposti in funzione del peso atomico crescente alcune proprietà variano in modo regola-re, senza tuttavia darne una spiegazione esaustiva. Alla luce dei moderni modelli atomici è possibile spiegare questa periodicità grazie al concetto di configura-zione elettronica dell’atomo.
La tavola periodica è formata da sette periodi corrispondenti ai 7 livelli energeti-ci fondamentali e ogni gruppo, ovvero ogni colonna, ospita gli elementi con la stessa configurazione elettronica esterna, da cui dipendono le proprietà che va-riano con periodicità regolare, come evidenziato da Mendeleev. Le configurazio-ni elettroniche possono essere rappresentate con una notazione compatta che in-dica il livello quantico principale, il tipo di orbitale e il numero di elettroni con-tenutevi (es: 1s2) e si dicono stabili quando avviene il completamento del livello. Il primo gruppo ha così un solo elettrone nel livello più esterno (idrogeno e me-talli alcalini), il secondo due, e così via fino all’ottavo gruppo che ospita i gas nobili, ovvero quei gas che avendo raggiunto la stabilità sono poco reattivi. Gli elementi più a sinistra del sistema periodico tenderanno quindi a perdere elettro-ni per raggiungere la stabilità, mentre quelli più a destra tenteranno di attrarne abbastanza per completare l’ultimo livello.
In corrispondenza del quarto periodo vengono poi aggiunte altre colonne per far spazio agli elementi in cui compaiono gli orbitali d (detti elementi di transizio-ne), mentre quelli che presentano anche gli orbitali f (serie dei Lantanidi e degli Attinidi) vengono indicati a latere per ragioni di compattezza.
Una ulteriore distinzione è possibile fra metalli, che occupano la parte sinistra della tavola, e non metalli, presenti all’estrema destra del sistema, divisi da una linea segmentata su cui sono presenti i semimetalli, che presentano caratteristi-che intermedie.

2. Illustrazione della struttura atomica attraverso i vari modelli atomici

Il primo modello valido per rappresentare la struttura dell’atomo, ossia la parte più piccola di ogni elemento che ne conservi ancora le proprietà, fu elaborata da Ru-therford nel 1916: secondo questo modello gli atomi sono essenzialmente spazio vuoto e tutta la massa è concentrata in un nucleo centrale formato da neutroni (e-lettricamente neutri) e protoni (avente carica positiva). Intorno al nucleo ruotano gli elettroni (particelle elettricamente negative), particelle con massa molto infe-riore dei protoni e che negli atomi neutri sono dello stesso numero dei protoni. Successivamente Bohr, rifacendosi alla teoria della quantizzazione dell’energia, sviluppata da Max Planck (per cui l’energia viene irradiata in pacchetti discreti detti quanti in base al valore della frequenza della radiazione) dimostrò che nel modello precedente l’elettrone in orbita attorno al nucleo sarebbe dovuto collassa-re sul nucleo poiché ruotando esso avrebbe dovuto emettere e quindi perdere ener-gia, e quindi ideò un modello alternativo in cui gli elettroni erano ristretti ad orbi-te circolari specifiche, ognuna ad una ben determinata distanza dal nucleo, ovvero in modo che ogni orbita facesse sì che l’elettrone rimanesse ad un livello fisso di energia. Nel modello di Bohr gli stati di energia permessi sono detti stazionari, mentre gli spazi intermedi sono energie proibite. Sommerfield introdusse, in segui-to, la possibilità che esistessero anche orbite ellittiche. Questo sistema dava anche una spiegazione delle incongruenze che presentava l’effetto fotoelettrico se studia-to con i mezzi della fisica classica, in accordo agli studi che portarono Einstein al-la vincita del premio Nobel.
Tuttavia questo sistema, che supponeva di poter individuare precisamente il mo-mento e la posizione di un elemento che occupasse una determinata orbita, fu mes-so in crisi pochi anni dopo dalla formulazione da parte del fisico tedesco Heisen-berg del Principio di Indeterminazione, secondo il quale non è possibile conoscere esattamente in ogni istante il momento e la posizione di un elettrone, anzi più cre-sce la precisione di una di queste misure tanto diminuisce l’accuratezza dell’altra.
Da questo momento in poi fu ormai possibile solo parlare di probabilità di un elet-trone di trovarsi in una determinata regione dello spazio: il nuovo modello atomico trasforma così il concetto di orbite in orbitali, che possiamo immaginare come nu-vole di carica che circondano il nucleo in cui la probabilità di trovare un elettrone è elevata. Grazie all’equazione d’onda di Schrodinger, che descrive il moto degli elettroni, si è potuto caratterizzare gli orbitali con dei numeri quantici: n (il nume-ro quantico principale) che indica il livello energetico dell’orbitale, ovvero la sua distanza dal nucleo; l (numero azimutale) che può variare da 0 a n-1 e che indica la forma dell’orbitale (sharp, principal, diffuse, fundamental); m (numero quantico magnetico) cha varia da –l a +l e indica l’orientamento del campo magnetico; infi-ne s (numero di spin), che può avere valori ½ o -½,relativo alla rotazione dell’elettrone intorno al proprio asse. Con l’introduzione del Principio di Esclu-sione di Pauli della Regola di Hund si è compreso come ogni orbitale possa ospita-re solo due elettroni con spin antiparallelo e che in presenza di orbitali degeneri (con la stessa energia) gli elettroni inizialmente occupano questi orbitali singolar-mente con spin parallelo.

3. Illustrazione del legame covalente e delle proprietà dei solidi covalenti

Il legame covalente è una condivisione di elettroni, spesso paritaria ma che può diventare polare in caso di differenza di elettronegatività degli atomi, dove cia-scun atomo dona un elettrone per questa unione, elettrone che resta intorno ai nu-clei dei due atomi.
Secondo la Teoria degli Orbitali Molecolari il numero totale di orbitali che parte-cipano al legame deve essere conservato: ad esempio, poiché nella formazione di una molecola di idrogeno partecipano due orbitali atomici, si devono ottenere due orbitali molecolari.
Uno di questi sarà l’orbitale legante, nel quale si sistemerà la coppia di elettroni, avendo questo orbitale energia minore di quella dei due orbitali atomici singoli; è proprio questo il motivo per cui i due atomi rimangono uniti e non si dividono nuovamente, tanto che per far in modo di allontanarli bisognerebbe somministrare loro l’energia che hanno perso nel legame.
L’altro orbitale che si viene a creare è detto di antilegame: questo orbitale è un orbitale potenziale, ovvero vuoto, in quanto esso ha una energia maggiore di quan-ta ne avessero i due orbitali atomici separati, quindi inserire un elettrone in questo orbitale vorrebbe dire indebolire il legame.
I solidi covalenti sono formati da atomi legati far di loro da legami covalenti, os-sia legami ad alta energia. Da ciò dipende l’elevata temperatura di fusione tipica di questi materiali, oltre alla loro peculiare durezza (esempio ne è il diamante). Inoltre questi solidi si presentano come ottimi isolanti sia termici che elettrici, in quanto gli elettroni, essendo impegnati in legami, non sono mobili all’interno della struttura.

4. Illustrazione del legame ionico e delle proprietà dei solidi ionici

Il legame ionico non è una condivisione di elettroni come quello covalente, ma piuttosto uno scambio in cui un elettrone lascia l’orbitale del donatore per migrare in quello dell’accettore: così facendo il donatore si troverà ad avere una carica po-sitiva in più e l’accettore una negativa. Questi atomi carichi elettricamente vanno sotto il nome di ioni e si attraggono a vicenda, formando degli aggregati cristalli-ni.
Per capire quando si verificherà questo legame piuttosto che uno covalente, è valu-tare la differenza di elettronegatività (ovvero della tendenza di un atomo di attrar-re maggiormente su di sé la carica elettronica di legame). Maggiore sarà la diffe-renza di elettronegatività, maggiore sarà il carattere ionico del legame e, poiché l’elettronegatività diminuisce lungo il gruppo e aumenta lungo il periodo, i legami ionici più comuni si avranno tra i metalli all’estrema sinistra della tavola periodica e i non metalli all’estrema destra.
Un esempio lampante è il Na+CL-, un composto ionico meglio noto come sale da cucina, che presenta tutte le caratteristiche tipiche dei composti ionici, ovvero la formazione di strutture cristalline ordinate, l’elevato punto di fusione dovuto alla forza di attrazione degli ioni, la fragilità e la loro natura di cattivi conduttori di corrente elettrica poiché gli ioni imprigionati nel reticolo non sono mobili (tutta-via una volta fuso o disciolto in soluzione esso diventa un ottimo conduttore gra-zie alla presenza di ioni positivi e negativi liberi). È inoltre possibile, conoscendo la natura degli ioni costituenti, progettare strutture con proprietà particolari, quali sono ad esempio i superconduttori, materiali che non oppongono resistenza al pas-saggio dell’elettricità.

5. Illustrazione del legame metallico e delle proprietà dei solidi metallici

Un metallo può essere come un reticolo di ioni positivi circondato da una nube di elettroni di carica negativa; infatti, poiché ogni atomo è circondato da un numero di atomi troppo grande per potere scambiare elettroni, si avrà una sovrapposizione degli orbitali elettrici con la formazione di una nube di elettroni libera di spostarsi per tutto il materiale.
Il legame metallico prende quindi origine dalla forza di attrazione presente tra gli elettroni e gli ioni positivi: gli atomi che formano i metalli tendono a formare un enorme orbitale molecolare, dove gli elettroni non hanno più un atomo di riferi-mento e sono liberi di migrare da un atomo all’altro, creando, seppur per pochi i-stanti, un legame tra atomi diversi.
Dal numero impressionante di legami che si vengono a creare deriva la caratteri-stica durezza dei solidi metallici e i loro elevati punti di fusione, mentre dalla grande libertà di movimento degli elettroni dipende la loro ottima conducibilità e-lettrica e termica (con le frequenti collisioni con gli atomi trasportano energia), oltre che la loro lucentezza (in risposta al campo elettrico di un raggio di luce in-cidente). Inoltre la non direzionalità del legame è invece responsabile della loro duttilità e malleabilità, poiché il legame può adattarsi alla nuova forma assunta dal materiale sempre tenendo insieme gli atomi.

6. Illustrazione dei legami deboli intermolecolari e loro influenza sulle pro-prietà dei materiali

Oltre ai legami forti (covalenti e ionici) esistono anche delle interazioni cosiddette deboli (ovvero che si possono spezzare somministrando bassi quantitativi di ener-gia) che si instaurano fra le molecole di un composto. Esse si dividono in forze di-polari (o di Wan Der Waals) e legame ad idrogeno.
Delle prime fanno parte le forze dipolo-dipolo, ovvero forze di natura elettrostati-ca che si vengono a creare tra molecole polari che tendono ad orientarsi disponen-dosi testa contro coda; le forze dipolo-dipolo indotto, che si instaurano fra mole-cole polari e altre apolari ma che risultano facilmente polarizzabili per induzione dalle molecole vicine; forze dipolo istantaneo- dipolo istantaneo (o di London) che si instaurano tra molecole apolari e sono dovute alla distorsione momentanea della nuvola elettronica che si propaga per induzione alle molecole circostanti (l’entità di questi legami dipende dalla polarizzabilità delle molecole, ad esempio ai gas nobili come l’elio è associata una energia di attrazione molecolare molto bassa e quindi essi sono poco polarizzabili confrontati ad esempio allo Iodio).
Il legame a ponte idrogeno interviene, invece, per spiegare come mai gli idruri dei primi elementi del V, VI e VII gruppo (ovvero H2O, HF, e NH3) nonostante abbai-no un peso molecolare minore degli idruri degli altri elementi del loro gruppo, ab-biano una temperatura di ebollizione così elevata. Questa forza ulteriore che de-termina un legame più forte tra le molecole è proprio il legame idrogeno: esso si verifica solamente quando l’atomo di idrogeno è legato mediante legame covalente ad un elemento molto elettronegativo(e che quindi fa risultare il legame molto po-larizzato) e quando vi è su ciascun elemento a cui è legato l’idrogeno una coppia di elettroni non impiegata in legami. Quando due molecole dello stesso tipo si tro-vano vicine e disposte in modo che l’idrogeno entri nella sfera d’azione della cop-pia elettronica si instaurerà un legame più forte che il classico dipolo-dipolo. Il legame idrogeno è responsabile anche della minore densità del ghiaccio rispetto all’acqua (esso ha una struttura tetraedrica con molto spazio vuoto e quindi meno densa) e dell’aumento della viscosità degli idrocarburi all’aumentare dei gruppi OH presenti, oltre a determinare anche la forma delle proteine.
I solidi molecolari, tenuti insieme dalle forze di Wan Der Waals o dai legami idro-geno sono caratterizzati, viste la debolezza del legame da: consistenza tenera, bas-si punti di fusione ed ebollizione (per quanto riguarda i liquidi) e cattiva conduci-bilità elettrica.

7. Illustrazione del modello degli orbitali e della ibridazione degli orbitali

Dopo la formulazione del Principio di Indeterminazione di Heisenberg è ormai possibile solo parlare di probabilità di un elettrone di trovarsi in una determinata regione dello spazio: il modello degli orbitali trasforma così il concetto di orbita in quello di orbitale, che possiamo immaginare come una nuvola di carica che cir-conda il nucleo in cui la probabilità di trovare un elettrone è elevata.
Grazie all’equazione d’onda di Schrodinger, che descrive il moto degli elettroni, si è potuto caratterizzare gli orbitali con dei numeri quantici: n (il numero quantico principale) che indica il livello energetico dell’orbitale, ovvero la sua distanza dal nucleo; l (numero azimutale) che può variare da 0 a n-1 e che indica la forma dell’orbitale (sharp, principal, diffuse, fundamental); m (numero quantico magne-tico) cha varia da –l a +l e indica l’orientamento del campo magnetico; infine s (numero di spin), che può avere valori ½ o -½,relativo alla rotazione dell’elettrone intorno al proprio asse.
Per il primo livello avremo quindi un solo orbitale sferico s; per il secondo un or-bitale 2s e tre orbitali degeneri 2p a forma di doppia goccia lungo i tre assi x, y e z; per il terzo un orbitale 3s, tre orbitale 3p e cinque orbitali 3d, e così via.
Con l’introduzione del Principio di Esclusione di Pauli della Regola di Hund si è compreso come ogni orbitale possa ospitare solo due elettroni con spin antiparalle-lo e che in presenza di orbitali degeneri (con la stessa energia) gli elettroni ini-zialmente occupano questi orbitali singolarmente con spin parallelo.
I legami che ogni atomo può formare sono quindi direttamente dipendenti dal nu-mero di elettroni spaiati che rimangono negli orbitali. Tuttavia quando alcuni ele-menti, tra i quali spicca il carbonio, nel formare legami passano dallo stato fonda-mentale a quello eccitato, avviene un riarrangiamento degli elettroni che vanno ad occupare degli orbitali ibridi noti sotto il nome di sp.
Nel caso del carbonio esso può ibridarsi sp3, ovvero far sì che i due elettroni dell’orbitale 2s e i due dell’orbitale 2p vadano a riempire ognuno un orbitale de-genere sp3, dando così al carbonio la possibilità di formare quattro legami cova-lenti, invece che solo i due che avrebbe potuto creare nello stato fondamentale. Quando i quattro orbitali degeneri si sovrappongono a 4 orbitali s, come succede ad esempio nel metano CH4, si formano quattro legami σ e si viene a creare una struttura tetraedrica con gli angoli di 109,5° avente il carbonio al centro e gli ato-mi di idrogeno sui vertici. L’atomo di carbonio può anche riarrangiarsi per combi-narsi con soli 3 altri atomi creando un legame creando un legame doppio: questo è il caso dell’etilene dove oltre al classico legame σ, fra gli atomi di carbonio si crea anche un legame π, risultato di una sovrapposizione laterale degli orbitali p adiacenti dei due atomi. Una conseguenza di questo legame è la planarità della struttura che si viene a creare, in quanto questo orbitale ne impedisce la rotazione. Nel caso dell’acetilene è addirittura possibile la creazione di un legame triplo, formato da un legame σ e da due legami π posti ad angolo retto l’uno rispetto all’altro., formando una struttura lineare.
Non solo il carbonio, ma anche altri elementi possono dar origine all’ibridazione: il boro ha la possibilità di ibridarsi sp2 e creare una molecola planare (BF3) con angoli di legame di 120°; il berillio invece può dare luogo ad una ibridazione sp1 e creare una molecola lineare con angoli di legame di 180° (BeCl2). Oltre all’ibridazione sp è anche possibile una ibridazione sp3d, tipica del fosforo, in cui un elettrone dell’orbitale 3s viene promosso in uno 3d e forma una struttura bipi-ramidale trigonale (PCl5), mentre lo zolfo può ibridarsi sp3d2 e formare un struttu-ra ottaedrica (SF6).

8. Illustrazione della teoria degli orbitali molecolari e della sua estensione nella teoria delle bande

Secondo la Teoria degli Orbitali Molecolari il numero totale di orbitali che parte-cipano al legame deve essere conservato: ad esempio, poiché nella formazione di una molecola di idrogeno partecipano due orbitali atomici, si devono ottenere due orbitali molecolari.
Uno di questi sarà l’orbitale legante, nel quale si sistemerà la coppia di elettroni, avendo questo orbitale energia minore di quella dei due orbitali atomici singoli; è proprio questo il motivo per cui i due atomi rimangono uniti e non si dividono nuovamente, tanto che per far in modo di allontanarli bisognerebbe somministrare loro l’energia che hanno perso nel legame.
L’altro orbitale che si viene a creare è detto di antilegame: questo orbitale è un orbitale potenziale, ovvero vuoto, in quanto esso ha una energia maggiore di quan-ta ne avessero i due orbitali atomici separati, quindi inserire un elettrone in questo orbitale vorrebbe dire indebolire il legame.
Estendendo la Teoria degli Orbitali Molecolari per molecole finite alla Teoria del-le Bande (e quindi ai materiali formati da molecole infinite) è possibile compren-dere a fondo la struttura dei metalli: se consideriamo, invece che due, tre molecole impegnate in legami si verrà a creare un terzo orbitale intermedio, oltre a quello legante e quello antilegante, che possiamo chiamare non-legante. Aumentando il numero di molecole ad N avremo, per analogia, N orbitali molecolari, con diffe-renza di energia far di loro sempre minore all’aumentare di N, mentre la differenza massima di energia fra il più basso orbitale legante e il più alto orbitale antilegan-te aumenta di pari passo al numero N di molecole. Per N che tende ad infinito la sovrapposizione di questi orbitali creerà una banda di energia.
Tenendo conto dei principi di esclusione di Pauli e della Regola di Aufbau per il riempimento degli orbitali, se ciascun atomo fornisce un elettrone, allora a T=0K risulterà occupata solo la metà della banda ad energia più bassa fino ad un livello di energia standard chiamato Livello di Fermi, ovvero l’energia più elevata dell’ultimo orbitale pieno. Con T superiori , gli elettroni prossimi al livello di Fermi possono facilmente saltare ai livelli vicini vuoti, diventando mobili e po-tendosi spostare nel solido con relativa libertà, creando così una banda di condu-zione che spiega molte delle proprietà tipiche dei solidi metallici, come l’elevata conducibilità elettrica o la lucentezza.

9. Illustrazione delle caratteristiche dei quattro stati di aggregazione della materia

Ogni elemento chimico può esistere in quattro stati di aggregazione fondamentale, ovvero lo stato solido, liquido, gassoso e sotto forma di plasma.
Lo stato solido (in cui si trovano quasi tutti gli elementi in condizioni ambientali) è caratterizzato da una distribuzione più o meno ordinata delle particelle, che sono unite fra di loro da legami molto forti, tanto che esse hanno solo la possibilità di oscillare intorno a delle ben definite posizioni di equilibrio, dette nodi reticolari, che non possono abbandonare. I solidi possiedono quindi forma e volume proprio e sono considerati incomprimibili. I solidi sono caratterizzati dall’esistenza di un re-ticolo cristallino , che risulta la ripetizione nello spazio della cella fondamentale (ovvero la più piccola parte del reticolo che mantiene tutte le caratteristiche geo-metriche del solido); da qui si può dedurre che i solidi sono un sistema periodico e discontinuo nello spazio e che quindi saranno asintropici, ovvero avranno differen-ti proprietà fisiche (meccaniche, ottiche, ecc) lungo le diverse direzioni. I solidi vengono divisi in solidi cristallini (con un reticolo ben definito e ordinato), a loro volta divisi in base al legame che tiene unite le molecole in solidi covalenti, me-tallici, ionici e molecolari, e solidi amorfi, ovvero con ordine a corto raggio e di-sordinati nel complesso, ovvero in cui non è presente un ben definito reticolo cri-stallino.
Nello stato liquido, invece, i moti di agitazione termica prevalgono sulle forze di coesione di media entità presenti fra le molecole, forze che comunque costringono le molecole a stare in contatto, ma non impediscono loro di scorrere le une sulle altre. I liquidi sono quindi facilmente deformabili e non hanno una forma propria, anche se possono considerarsi pressoché incomprimibili. Da questa osservazione deriva che i liquidi sono strutture del tutto disordinate e, a differenza dei solidi, sono isotropi, ovvero presentano le stesse caratteristiche fisiche lungo tutte le di-rezioni. I fluidi presentano inoltre importanti caratteristiche quali la viscosità, ov-vero la minor o maggior facilità di scorrimento di un piano di liquido sull’altro; la tensione superficiale (definita come l’energia necessaria per creare un metro qua-drato di superficie) che comporta la tendenza a contrarsi da parte della superficie del liquido (le gocce infatti assumono forma sferica, ossia di minima energia); e la tensione di vapore, ovvero la pressione corrispondente all’equilibrio di un liquido e il suo vapore ad una certa temperatura.
Nello stato gassoso le forze di coesione sono praticamente trascurabili e quindi le particelle sono distribuite in modo del tutto disordinato dall’agitazione termica. I gas, perciò, non hanno né volume né forma propri ( e per quest’ultima caratteristi-ca vengono detti fluidi insieme ai liquidi). Si è visto sperimentalmente che a basse pressioni tutti i gas possono essere assimilati ad un gas ideale (insieme di moleco-le libere di muoversi e con volume trascurabile rispetto a quello del contenitore) che obbedisce all’equazione di stato dei gas perfetti: PV=nRT; equazione che met-te in relazione la pressione, il volume, la temperatura e il numero di moli di un gas (a T costante P e V sono inversamente proporzionali, mentre T e P o V lo sono di-rettamente). Un gas reale, invece è caratterizzato da particelle con un volume fini-to, quindi l’equazione fu modificata da Wan Der Waals tenendo conto che il volu-me totale a disposizione del gas è minore di quello del contenitore e che fra le par-ticelle si instaurano forze di attrazione e repulsione all’aumentare di P.
Il quarto stato di aggregazione della materia è il plasma: esso si ottiene portando un gas a temperature superiori i 5000K. In tale situazione uno o più elettroni si staccano dall’atomo dando luogo alla formazione di ioni, causa gli urti anelastici tra i componenti del gas dovuti all’elevata temperatura. Il plasma è quindi una mi-scela di specie cariche e di specie neutre (molecole, atomi, radicali). I plasmi si distinguono in plasmi freddi e plasmi termici: i plasmi termici sono caratterizzati da temperature tra i 5000 e i 10000 K e da una elevata pressione e l’energia cineti-ca degli elettroni viene trasferita equamente a tutte le specie presenti causa le fre-quenti collisioni (ne è esempio l corona solare); i plasmi freddi hanno invece la stessa temperatura elettronica dei plasmi termici, ma una temperatura delle parti-celle molto inferiore, e quindi il numero di collisioni è talmente basso da non di-stribuire l’energia degli elettroni sulle altre specie (come nei tubi al neon).

10. Illustrazione dei passaggi di stato della materia e di un diagramma di stato
Il passaggio da uno all’altro degli stati fondamentali di aggregazione della materia è detto passaggio di stato: in generale, fornendo calore ad una sostanza si favori-sce il passaggio da stati di aggregazione più compatti (solido) a stati meno com-patti (liquido, gassoso); l’inverso avviene sottraendo calore. I passaggi di stato avvengono a temperature ben determinate a seconda della pressione e finché tutta la massa non si è trasformata la temperatura rimane costante: il calore fornito du-rante la trasformazione è detto calore latente e viene immagazzinato dalla sostan-za. Il passaggio dallo stato solido a quello liquido è detto fusione, mentre l’inverso solidificazione; il passaggio dallo stato liquido al quello gassoso è detto vaporizzazione, mentre il suo opposto è la condensazione. Esiste anche il passag-gio diretto dallo stato solido al gassoso, e viceversa, ed è detto sublimazione.
Queste trasformazioni, se avvengono a pressione costante, possono venire indicate in un diagramma isobaro, in cui sono indicate le temperature di fusione e vaporiz-zazione della sostanza. Tuttavia non tutte le trasformazioni possono avvenire a pressione costante: i diagrammi di stato P/T consentono di conoscere in funzione della temperatura e della pressione i campi di esistenza di ciascuno stato di aggre-gazione.
Esaminiamo il diagramma di stato dell’acqua. La prima linea evidenzia la varia-zione di pressione di sublimazione del ghiaccio con la temperatura; essa inizia nei dintorni dello zero assoluto e lungo i suoi punti il sistema costituito da ghiaccio e vapore è in equilibrio. La seconda linea mostra invece l’andamento della tempera-tura di fusione del ghiaccio all’aumentare della pressione e, come per la preceden-te, lungo i suoi punti ghiaccio e acqua sono in equilibrio; è da notare come fino ad un certo punto la temperatura di fusione del ghiaccio diminuisca con l’aumentare della pressione, per poi aumentare di pari passo: ciò deriva dalla formazione, fino ad un certo valore di pressione, di una struttura del ghiaccio più aperta e meno densa del liquido dovuta alla presenza di legami a ponte idrogeno. La terza e ulti-ma linea rappresenta infine la variazione di pressione di vapore dell’acqua con la temperatura e individua i valori di P e T per i quali il sistema acqua-vapore è in equilibrio. Questa linea termina nel Punto Critico dell’acqua, al di sopra del quale non ha più senso parlare di liquido o vapore: al di sopra di questa temperatura non è più possibile comprimere il gas aumentando semplicemente la pressione. Una so-stanza che si trovi al di sopra della sua pressione critica è detta fluido supercritico ed essendo un gas molto denso è usato come solvente per liquidi e solidi (ad esem-pio l’anidride carbonica supercritica viene usata per estrarre la caffeina senza usa-re soluti nocivi). Le tre linee determinano i campi di esistenza dello stato solido, liquido e gassoso e si incontrano in un punto detto Punto Triplo in cui coesistono ghiaccio, acqua e vapore.

11. Illustrazione delle tecniche microscopiche che possono essere utilizzate per la caratterizzazione dei materiali

Le tecniche microscopiche ci consentono di osservare a fondo i materiali grazie a degli ingrandimenti. Una delle tecniche più usate è la microscopia ottica capace di riprodurre immagini ingrandite di particolari troppo piccoli per essere osservati ad occhio nudo. Gli strumenti utilizzati prendono il nome di microscopi ottici e si ba-sano su di un sistema di lenti che forniscono all’occhio un’immagine virtuale in-grandita dell’oggetto osservato fino ad un ingrandimento di 1.000X. Il punto forte di questa tecnica è la facile preparazione del campione, che va inserito tra due ve-trini e posto nel fuoco di una lente convessa. Tuttavia il potere di risoluzione di questo microscopio è limitato al fenomeno della diffusione e non può superare gli 0,2 nanometri per la luce visibile.
Il microscopio ottico a scansione (SEM) utilizza invece una sonda molto sottile di elettroni che viene localizzata sul campione ed induce una scansione in forma di linee parallele di elettroni secondari, elettroni retrodiffusi e raggi x, dai quali si può dedurre, nell’ordine, la morfologia superficiale del campione, la variazione del peso atomico medio con annessa identificazione dei minerali presenti e la con-centrazione di ogni elemento nel campione. I campioni, su cui si opera sottovuoto, devono essere anidri e conduttori (per questo spesso si ricopre il campione di un sottile strato d’oro). La moderna tecnologia ESEM però ad analizzare anche cam-pioni umidi, non conduttori e in condizioni di basso vuoto: questo metodo ha l’innegabile vantaggio di conservare intatto il campione e di ottenere un ingran-dimento fino a 50.000X.
Il microscopio elettronico a trasmissione (TEM) sfrutta, invece, un sistema analo-go a quello ottico, in cui un fascio di elettroni attraversa il campione e viene proiettato su un sistema di lenti elettromagnetiche, garantendo un ingrandimento di oltre 200.000X. Tuttavia per essere attraversato dagli elettroni il campione deve essere osservato in alto vuoto e essere assottigliato tramite processi meccanici e chimici fino ad uno spessore sottilissimo.
Infine il microscopio a forza atomica (AFM) è usato per osservare strutture super-ficiali ed è formato da un sensore a punta molto fine, chiamato tip, montato su una sottile asta elastica, il quale posto a contatto con la superficie del campione viene spostato su e giù dalle forze di repulsione e attrazione elettrostatiche mole-colari, con una definizione così elevata da vedere quasi i singoli atomi.

12. Illustrazione dei vari tipi di reticoli cristallini nei quali possono cristal-lizzare i solidi.

Per descrivere le strutture cristalline si ricorre al concetto di reticolo costituito da una griglia tridimensionale in cui i nodi sono occupati da atomi, ioni o molecole, assimilabili a sferette rigide. L’unità di base, o meglio la cella elementare, è la di-sposizione tridimensionale più semplice di atomi che si ripete all’interno del reti-colo. Essa può essere scelta arbitrariamente, tuttavia deve essere scelta in modo che ogni atomo o ione che si trovi nella cella sia circondato dal medesimo intorno, in modo che essa possa descrivere per traslazione unitaria nelle tre direzioni spa-ziali tutto il reticolo. Inoltre la cella elementare è quella per cui è possibile ottene-re l’ordinamento più stabile a cui corrisponde l’energia minima per unità di volu-me, oltre a rispettare i criteri di neutralità elettrica e del massimo impacchetta-mento atomico.
Si può dimostrare che le strutture cristalline possono essere raggruppate in sette sistemi diversi: triclino, monoclino, ortorombico,tetragonale, esagonale, trigonale e cubico. Inoltre A. Bravais dimostrò che vi sono in tutto 14 possibili distribuzioni spaziali degli atomi nei sette sistemi cristallografici, ordinamenti che possono es-sere di tipo semplice, a facce centrate, a corpo centrato e a base centrata. La mag-gior parte dei cristalli cristallizza o nella struttura cubica a corpo centrato (CCC), ossia con un atomo per ogni vertice del cubo e uno al centro (2 atomi per ogni cel-la); o nella struttura cubica a facce centrate (CFC) con un atomo su ogni vertice e uno al centro di ciascuna faccia del cubo (4 atomi per cella) e nella struttura esa-gonale compatta (HCP) con gli atomi situati sui vertici e al centro delle basi di un prisma a base esagonale (6 atomi per cella). Queste ultime due disposizioni sono quelle che permettono la più compatta disposizione di atomi possibile, in quanto i piani sovrapposti vanno a riempire gli interstizi lasciati vuoti fra gli atomi del piano precedente.

13. Illustrazione delle differenze tra solidi cristallini e solidi amorfi

Nei solidi le particelle presenti come atomi, ioni o molecole occupano posizioni fisse e la loro libertà di movimento è limitata ai soli moti vibrazionali. I solidi cri-stallini hanno una struttura costituita da disposizioni tridimensionali di atomi che si ripetono periodicamente, mentre i solidi amorfi sono del tutto privi di questo ordine a lungo raggio caratteristico dei cristalli, poiché questi solidi possiedono sì un ordine locale all’interno delle sub-unità, ma queste sono impacchettate casual-mente, senza ordine.
Di questo gruppo di solidi fanno parte molti polimeri ad alto peso molecolare, al-cuni elementi puri e gli ossidi vetrosi. La loro struttura dipende dal fatto che i loro atomi hanno mobilità assai limitata alle temperature di transizione liquido-solido, e così durante il raffreddamento non riescono a raggiungere la configurazione di minima energia, ossia quella cristallina. I vetri fusi essendo molto viscosi non rie-scono a dare origine a queste strutture ordinate e a formare facce piane, quindi i materiali amorfi hanno energia più elevata e possono considerarsi come “liquidi congelati”; infatti essi hanno proprietà di tipo isotropo, ovvero presentano le me-desime caratteristiche fisiche lungo tutte le direzioni spaziali, al contrario dei so-lidi cristallini, che essendo formati da un reticolo periodico e discontinuo nello spazio sono asintropici (le loro proprietà fisiche variano lungo le tre direzioni spa-ziali).
Una ulteriore differenza con i cristalli è che gli amorfi non posseggono una tempe-ratura di solidificazione ben definita, bensì diventano gradualmente più viscosi fi-no al completo indurimento, mentre la temperatura alla quale incominciano ad as-sumere il comportamento di un solido è detta Tg o temperatura di transizione ve-trosa. Con il tempo i materiali amorfi tendono a cristallizzare con velocità bassis-sima, poiché essi sono sistemi termodinamicamente instabili), diventando più fra-gili e opacizzandosi, come accade ai vetri antichi.
Un’altra classe di materiali amorfi è rappresentata dai vetri metallici (i metalli a-vendo un reticolo cristallino di ioni positivi sono dei solidi cristallini), ottenuti per solidificazione rapidissima (diminuzioni di temperatura nell’ordine di 106 K/s), ottenuti grazie a mulini ad alta energia. Essi si presentano sotto forma di la-mine molto sottili, ma oggigiorno i più moderni vetri metallici posseggono uno spessore critico anche di alcuni centimetri (come il Vitreloy) e trovano applicazio-ne in svariati campi: dalla costruzione delle mazze da golf, in quanto facilmente plasmabili ed elastici, alle protesi per ginocchia, data la loro biocompatibilità e resistenza all’usura.

14. Illustrazione della diffrazione dei Raggi X per l’analisi strutturale dei materiale

I raggi x sono onde elettromagnetiche la cui lunghezza d’onda è dello stesso ordi-ne di grandezza della distanza tra i piano reticolari dei solidi cristallini e, quindi, essi attraversando il solido possono originare delle figure di diffrazione che i cri-stallografi interpretano per fare delle ipotesi sulla struttura dei cristalli.
I raggi x si possono dividere i due tipi, in base ai processi a cui danno origine: i raggi x di frenamento che vengono emessi da fasci di elettroni quando vengono bruscamente frenati dall’urto con altri atomi e i raggi x cosiddetti caratteristici degli atomi, derivanti dall’eccitazione degli elettroni interni agli atomi sotto un bombardamento di fasci di elettroni.
Sono proprio questi ultimi a trovare applicazione nell’indagine cristallografica, poiché presentano picchi di intensità in corrispondenza di lunghezze d’onda ben definite dipendenti dagli atomi che vanno a colpire e dalla cui analisi è possibile comprendere quale elemento li ha generati. Quando gli elettroni più interni degli atomi, che costituiscono il reticolo, interagiscono con i raggi x, entrano in riso-nanza con questi ultimi oscillando con la stesa loro frequenza e diventando a loro volta delle sorgenti di raggi x. Le onde emesse, allora, interferiscono fra loro dan-do luogo ad uno spettro di diffrazione. Grazie alla legge di Bragg (nλ=2d*sinθ) e con opportuni strumenti di misurazione è possibile ricavare la distanza interplana-re del reticolo d, grazie all’analisi dell’angolo di diffrazione del raggio.

15. Illustrazione delle varie tipologie di difetti nei materiali e formazione delle leghe metalliche

La struttura cristallina non è mai perfettamente regolare all’interno della struttura del solido, infatti si possono individuare al suo interno difetti puntuali, lineari e superficiali.
I difetti puntuali sono localizzati in un intorno di pochi atomi, ma cambiano dra-sticamente le proprietà le proprietà dei materiali nonostante la loro concentrazione sia molto esigua, provocando una distorsione nella porzione di reticolo che li cir-conda, e si dividono in vacanze, ovvero la mancanza di uno ione all’interno del re-ticolo cristallino; in impurezze interstiziali, ossia quando uno ione molto piccolo si trova al di fuori di un nodo reticolare e va ad occupare un interstizio della strut-tura; e in impurezze sostituzionali, cioè quando uno ione estraneo al cristallo ne sostituisce uno ione nel reticolo.
I difetti lineari sono noti come dislocazioni, a loro volta divise in dislocazione a vite e dislocazioni a spigolo, ed influenzano molto la duttilità dei materiali, in quanto questi difetti favoriscono lo scorrimento di una di una porzione di cristallo sull’altra abbassando il valore di energia necessaria al moto. Tuttavia esse sono anche responsabili, a lungo andare, del cosiddetto incrudimento del materiale, ov-vero della riduzione di possibilità di deformare ulteriormente il materiale, in quan-to le dislocazioni, interagendo fra di loro, aumentano l’energia necessaria per la deformazione.
Infine i difetti superficiali, ovvero i bordi di grano, sono zone di discontinuità de-terminate dal diverso orientamento dei cristalli dei grani adiacenti formatesi du-rante la solidificazione, le quali discontinuità avendo una sistemazione compatta e quindi una energia maggiore, sono chimicamente più reattive del centro del grano, e quindi tendono a corrodersi.
Le impurezze spesso vengono impiantate di proposito nei materiali per alterarne le proprietà (come ad esempio succede per il drogaggio dei semiconduttori) e anche le leghe metalliche hanno origine dall’impianto controllato di difetti puntuali.
Le leghe sono l’unione macroscopica omogenea di due o più elementi, almeno uno dei quali metallico, e a seconda del numero di costituenti sono dette binarie, terna-rie, ecc. Una lega è quindi una soluzione solida di elementi nel metallo di base (solvente) che ha lo scopo di migliorare le caratteristiche dei singoli metalli (ad esempio conservando la malleabilità del metallo, ma aumentandone la durezza).
Quando gli atomi di soluto sostituiscono all’interno del reticolo gli atomi di sol-vente si parlerà allora di lega sostituzionale (avviene tra metalli che hanno ioni più o meno della stessa dimensione), come ad esempio la lega rame-zinco; quando gli atomi di soluto sono invece molto più piccoli degli atomi del solvente ed occu-pano gli interstizi, si parla di leghe interstiziali, delle quali l’esponente più famo-so è l’acciaio, ovvero una lega ferro-carbonio molto usata poiché è facilmente la-vorabile e saldabile oltre ad avere buone proprietà meccaniche.

16. Illustrazione delle varie tipologie di degrado dei materiali metallici

La corrosione dei materiali metallici è un processo di ossidoriduzione che si in-staura tra il materiale e l’ambiente che lo circonda e può causare alterazioni e de-grado delle proprietà chimico-fisiche del materiale stesso. La corrosione può av-venire sia a secco, ossia in assenza di umidità e a temperature elevate in presenza di ossigeno, sia ad umido, ovvero quando il materiale viene a contatto con agenti corrosivi in soluzione acquosa, nella quale avvengono due reazioni: l’ossidazione dell’anodo (che si dissolve fino a quasi scomparire) e la riduzione del catodo, se-condo una scala di reattività che è deducibile dalla serie elettrochimica dei poten-ziali standard. I prodotti della corrosione spesso generano uno strato che ricopre il materiale e lo protegge da un’ulteriore corrosione, secondo un meccanico che va sotto il nome di passivazione.
Vi sono differenti tipologie di corrosione: quella uniforme, che procede contempo-raneamente su tutta la superficie fino all’assottigliamento e alla rottura del mate-riale; la corrosione per pitting, nella quale si evidenziano buchi o cavità nel mate-riale (pits) spesso coperti dai prodotti di corrosione e quindi di difficile individua-zione, è spesso dovuta al danneggiamento locale del film protettivo di ossido; la corrosione interstiziale, associata ad una soluzione stagnante in un microambiente schermato, quale può essere quello delle guarnizioni e delle viti; la corrosione galvanica che avviene quando vengono messi a contatto due metalli diversi in pre-senza di un elettrolita, quale ad esempio una soluzione acquosa, a causa della dif-ferenza di potenziale elettrochimico dei materiali; la corrosione intergranulare che interessa i bordi dei grani che formano la microstruttura delle leghe e dei metalli, poiché i bordi di grano diventano anodici rispetto al centro che resta catodico, co-me può succedere nel degrado delle saldature.

17. Illustrazione delle tipologie dei trattamenti di modifica delle superfici con particolare attenzione ai trattamenti in plasma
La superficie è la zona più esterna di un materiale con proprietà chimico fisiche diverse dall’interno del materiale stesso e corrisponde a pochi strati atomici. Gli strati protettivi non aumentano la resistenza strutturale dei materiali, ma ne pre-servano l’integrità proteggendoli dalla corrosione da parte di agenti aggressivi, compito che viene svolto egregiamente dai film metallici.
La deposizione dei metalli, come ad esempio il cromo o il nichel, può avvenire in differenti modi: la galvanizzazione è un processo che applica uno strato protettivo d zinco sui componenti di ferro o acciaio tramite una immersione in zinco fuso. L’elettrodeposizione viene invece effettuata facendo passare corrente elettrica in una soluzione contenente ioni del metallo da depositare e l’oggetto da ricoprire, che diventa catodo della cella elettrochimica; tuttavia non tutti i metalli possono essere depositati in soluzione acquosa, ma, come il titanio o l’alluminio necessita-no di un elettrolita organico. È anche possibile avere una deposizione senza cor-rente impressa introducendo in soluzione ioni nichel e un agente riducente o uti-lizzare tecniche come il Thermal Spraying, che conferisce energia alla superficie per favorire l’applicazione lasciando inalterate le proprietà del materiale.
Fra tutte queste tecniche di deposizione spiccano quelle di Physical Vapor Deposi-tion (PVD) basate sull’utilizzo del plasma freddo e che hanno il vantaggio di esse-re pulite e di ricoprire l’intero componente contemporaneamente. Il plasma è una miscela di specie cariche e di specie neutre (molecole, atomi, radicali) separatesi a causa dei frequenti urti dovuti all’elevata temperatura. I plasmi si distinguono in plasmi freddi e plasmi termici: i plasmi termici sono caratterizzati da temperature tra i 5000 e i 10000 K e da una elevata pressione e l’energia cinetica degli elettro-ni viene trasferita equamente a tutte le specie presenti causa le frequenti collisio-ni; i plasmi freddi hanno invece la stessa temperatura elettronica dei plasmi termi-ci, ma una temperatura delle particelle molto inferiore, e quindi il numero di colli-sioni è talmente basso da non distribuire l’energia degli elettroni sulle altre specie. È possibile generare un plasma freddo applicando in un reattore un campo elettrico in condizioni di bassa pressione, ed in base alla frequenza del campo possiamo in-fluenzare la densità del plasma (elettroni per unità di volume) e il bombardamento ionico sulla superficie (che se troppo elevato potrebbe danneggiare il substrato); un ottimo compromesso fra entrambe sono i plasmi generati a radiofrequenze e quindi vengono usati per la deposizione.
Si distinguono tre tipi di processi a plasma freddo: il plasma etching, un processo di ablazione delle superfici con formazione di prodotti volatili che si allontanano dal materiale; i plasma treatments che permettono l’innesto di particolari funziona-lità chimiche sulla superficie grazie ad una alimentazione a gas non polimerizzabi-li; infine il PE-CVD che permette la deposizione di sottili film organici e inorga-nici, tra i quali ha molta importanza il film SiO2-like che ha proprietà simili alla silice (elevata stabilità chimica e termica; omogeneità, durezza, trasparenza, bassa porosità e bassa permeabilità ai gas e vapor acqueo) e che viene considerato parti-colarmente interessante per la protezione alla corrosione.

18. Illustrazione della polimerizzazione di addizione con esempi di polimeri ottenuti con questo meccanismo
Con la parola polimero ci si riferisce a molecole il cui peso molecolare è dell’ordine di alcune migliaia o più. Un polimero lineare è un polimero in cui gli atomi sono disposti in una lunga catena di centinaia di migliaia di atomi, chiamata catena principale, a cui si attaccano lateralmente atomi singoli o piccole catene. Il gruppo che si ripete ricorsivamente nella catena principale è detta unità ripetitiva e dà il nome al polimero. Oltre ai polimeri lineari sono presenti anche polimeri ramificati con una struttura tridimensionale. Tutte le materie plastiche, le fibre sintetiche, la gomma e molti altri composti naturali hanno una struttura polimerica e da qui è facile comprendere l’importanza che può avere lo studio di queste so-stanze.
I polimeri si formano tramite un processo chiamato polimerizzazione, che ha ori-gine da una molecola detta monomero. Le polimerizzazioni possono venire divise tra polimerizzazioni a catena, processo in cui i monomeri diventano parte del po-limero simultaneamente e polimerizzazioni a stadi in cui oltre ai monomeri anche catene diverse possono interagire fra loro; un altro sistema di classificazione è quello che le divide in polimerizzazione per addizione e polimerizzazione per con-densazione.
Nelle reazioni di polimerizzazione per condensazione una piccola parte del mono-mero viene eliminata quando esso diventa parte del polimero. Viene detta, al con-trario, polimerizzazione per addizione la polimerizzazione in cui tutta la molecola di monomero diventa parte del polimero. Ad esempio quando l’etilene è polimeriz-zato per creare il polietilene, ogni atomo della molecola di etilene diventa parte del polimero integralmente, ovvero il monomero viene addizionato interamente al polimero.

19. Illustrazione della polimerizzazione di condensazione con esempi di po-limeri ottenuti con questo meccanismo
Con la parola polimero ci si riferisce a molecole il cui peso molecolare è dell’ordine di alcune migliaia o più. Un polimero lineare è un polimero in cui gli atomi sono disposti in una lunga catena di centinaia di migliaia di atomi, chiamata catena principale, a cui si attaccano lateralmente atomi singoli o piccole catene. Il gruppo che si ripete ricorsivamente nella catena principale è detta unità ripetitiva e dà il nome al polimero. Oltre ai polimeri lineari sono presenti anche polimeri ramificati con una struttura tridimensionale. Tutte le materie plastiche, le fibre sintetiche, la gomma e molti altri composti naturali hanno una struttura polimerica e da qui è facile comprendere l’importanza che può avere lo studio di queste so-stanze.
I polimeri si formano tramite un processo chiamato polimerizzazione, che ha ori-gine da una molecola detta monomero. Le polimerizzazioni possono venire divise tra polimerizzazioni a catena, processo in cui i monomeri diventano parte del po-limero simultaneamente e polimerizzazioni a stadi in cui oltre ai monomeri anche catene diverse possono interagire fra loro; un altro sistema di classificazione è quello che le divide in polimerizzazione per addizione e polimerizzazione per con-densazione.
Nelle reazioni di addizione tutto il monomero viene aggiunto al polimero; nelle re-azioni condensazione, invece, una piccola parte del monomero viene eliminata quando esso diviene parte del polimero. La parte eliminata è di solito una piccola molecola di acqua o di HCl. Ad esempio durante la reazione di formazione del Nylon 6-6, quando il cloruro di adipoile si unisce alla esametilendiammina, atomi di cloro del cloruro di adipoile vengono espulsi sotto forma di HCl.

20. Illustrazione dei processi di fabbricazione e drogaggio del silicio per e-lettronica
Il silicio è il secondo elemento più abbondante della crosta terrestre, tuttavia nella forma in cui si presenta, ovvero policristallino e con una notevole quantità di im-purezze è inadatto all’uso che se ne fa in microelettronica. Da qui nasce l’esigenza di un ciclo per la raffinazione del silicio, in quanto il silicio puro è un ottimo se-miconduttore intrinseco ed è molto utilizzato per la componentistica elettronica.
Con il metodo Czochralzy il silicio viene fatto fondere in un crogiolo di materiale inerte e mantenuto ad una temperatura appena superiore a quella di fusione. Dall’alto viene poggiato sulla superficie fusa un germe di silicio cristallino, al contatto con il quale il silicio fuso si solidifica. Stabilendo la velocità del movi-mento di estrazione del germe e della rotazione del crogiolo è possibile creare un lingotto cilindrico monocristallino delle dimensioni desiderate, in cui le impurezze sono depositate sul fondo. Tuttavia non è possibile liberare il fuso con questo me-todo da tutte le impurezze (ad esempio dall’ossigeno); così una volta eliminate le estremità del cilindro in cui sono concentrate le impurezze precedentemente sepa-rate, il cilindro viene sottoposto al controllo delle sue proprietà elettriche e cri-stallografiche, quindi tagliato in fette sottili in modo da ottenere superfici planari e parallele, per poi passare da una fase di pulitura a specchio e di attacco chimico finale contro le impurità, per infine essere sottoposto a drogaggio.
Con il termine drogaggio, nell’ambito dei semiconduttori, si intende l’aggiunta al semiconduttore di piccole percentuali di atomi non facenti parte del semicondutto-re, allo scopo di modificarne le proprietà elettriche, senza tuttavia modificarne le proprietà chimiche. Il drogaggio può essere o di tipo n, dove sostituendo un atomo di silicio con uno di P o As si avrà una carica negativa in più, che può facilmente essere promossa nella barra vuota di conducibilità del silicio; o di tipo p, dove vengono sostituiti al Si atomi di Ba o Ga, i quali avendo una carica negativa in meno, formano delle vacanze di elettroni, chiamate lacune positive, formando una sottile banda accettrice vuota sopra la barra piena del Si nella quale può avvenire il fenomeno della conduzione. Le impurezze possono essere depositate in modo controllato tramite il processo di diffusione (che prevede l’introduzione in un for-no con atmosfera carica di P dei wafer di silicio) o tramite l’impiantazione ionica che permette l’introduzione dei materiali droganti con un fascio di ioni, capace di penetrare anche lo strato di ossido superficiale.
Questo strato di ossido superficiale e di conseguenza l’intero processo di ossida-zione del silicio, sono di fondamentale importanza per la realizzazione dei circuiti integrati. Uno strato superficiale di ossido può infatti svolgere svariati compiti, come costituire una maschera per la diffusione in determinate zone, fare da strato isolante fra due strati di metallizzazione, costituire il dielettrico di un gate di MOS e proteggere la superficie. La formazione dell’ossido superficiale si può ot-tenere o per ossidazione termica (facendo reagire il silicio con l’ossigeno all’interno di un forno) o per CVD (chemical vapor deposition) che permette la deposizione per via chimica di strati successivi di ossido a differente percentuale di drogaggio, facendo reagire il materiale da depositare sotto forma di vapore con la superficie del semiconduttore.
Infine per creare il circuito integrato è necessario attraversare una fase di microli-tografia: in questo processo fotolitografico si deposita preliminarmente uno strato di fotoresist, ovvero un materiale semisolido sensibile ai raggi UV o X. Davanti alla fetta di silicio viene quindi posta una maschera contenente parti del layout (il disegno del circuito da riprodurre) sotto forma di zone opache o trasparenti. A questo punto si espone la superficie ad un fascio luminoso in modo che la parte trasparente lasci passare la luce. Nel caso il fotoresist sia di tipo negativo la parte impressionata viene polimerizzata e quindi diventa un materiale compatto e poco solubile, nel caso invece che il fotoresist sia positivo, essa si depolimerizza. Col processo successivo di sviluppo si asporta la zona non polimerizzata e dopo una successiva reinfornatura e dissoluzione dell’ossido non protetto dal fotoresist po-limerizzato, si ottiene il circuito integrato.

21. Illustrazione delle differenze tra materiali conduttori, semiconduttori ed isolanti

Le proprietà dei materiali conduttori trovano spiegazione nella teoria delle bande: sovrapponendo un gran numero di orbitali atomici, per la teoria OM in cui il nu-mero degli orbitali interessati al legame deve rimanere costante, si otterranno or-bitali molecolari leganti, non legnati e antileganti separati da strettissimi intervalli di energie. Per solidi le cui molecole possiamo considerare infinite, si avrà la cre-azione di una banda continua che si estende in una arco di energie. La banda co-struita dalla sovrapposizione di orbitali s prenderà il nome di banda s, quella costi-tuita da orbitali p il nome di banda p, e così via; bande separate poi da un interval-lo energetico. Gli elettroni, tenendo conto del Principio di Esclusione di Pauli e della Regola di Aufbau, occuperanno, nel caso che ciascun atomo fornisca un elet-trone s, la metà inferiore della banda ad energia più bassa, fino al Livello di Fer-mi, se consideriamo la temperatura uguale allo zero assoluto. Per T di non molto superiori la popolazione degli elettroni assume la distribuzione Fermi-Dirac, che tiene conto che se una banda non è del tutto completa, gli elettroni vicino al livel-lo di Fermi possono facilmente venire promossi ai vicini livelli vuoti, diventando mobili e guadagnando la possibilità di spostarsi lungo il solido. Queste sostanze sono dette conduttori elettronici e il loro gruppo più rappresentativo è quello dei metalli.
Negli isolanti, invece, fra la banda di valenza (occupata dagli elettroni) e quella di conduzione (in cui gli elettroni potrebbero muoversi creando corrente) esiste una differenza di energia considerevole dovuta alla forte differenza di elettronegatività fra gli atomi che non si può colmare con un aumento della temperatura ragionevo-le: è questo il caso dei solidi ionici, che possono anch’essi essere descritti con la teoria delle bande.
La differenza tra conduttori e semiconduttori è, invece, che all’aumentare di T la conducibilità invece che diminuire, come avviene nei metalli, aumenta, da ciò la sottile differenza con gli isolanti, che risiede tutta in un intervallo di banda minore e quindi facilmente scavalcabile grazie all’aumento della temperatura: è questo il caso dei semiconduttori intrinseci (ovvero le cui proprietà conduttive sono natura-li) come il silicio e il germanio. I semiconduttori estrinseci devono, al contrario, le loro proprietà conduttive ad un processo di drogaggio, ovvero all’introduzione di particelle estranee all’interno del reticolo. Il drogaggio può essere o di tipo n, dove, sostituendo un atomo del semiconduttore originale con uno con un elettrone in più, si avrà un vettore di carica negativa in più, che può facilmente essere pro-mosso nella barra vuota di conducibilità; o di tipo p, dove vengono sostituiti alcu-ni atomi del materiale con atomi da un elettrone in meno, i quali formano delle va-canze di elettroni, chiamate lacune positive, che creano una sottile banda accettri-ce vuota sopra la barra di valenza nella quale può avvenire il fenomeno della con-duzione.

22. Illustrazione delle differenze tra metalli e superconduttori

Le proprietà conduttive dei metalli trovano spiegazione nella teoria delle bande: sovrapponendo un gran numero di orbitali atomici, per la teoria OM in cui il nu-mero degli orbitali interessati al legame deve rimanere costante, si otterranno or-bitali molecolari leganti, non legnati e antileganti separati da strettissimi intervalli di energie. Per solidi le cui molecole possiamo considerare infinite, si avrà la cre-azione di una banda continua che si estende in una arco di energie. La banda co-struita dalla sovrapposizione di orbitali s prenderà il nome di banda s, quella costi-tuita da orbitali p il nome di banda p, e così via; bande separate poi da un interval-lo energetico. Gli elettroni, tenendo conto del Principio di Esclusione di Pauli e della Regola di Aufbau, occuperanno, nel caso che ciascun atomo fornisca un elet-trone s, la metà inferiore della banda ad energia più bassa, fino al Livello di Fer-mi, se consideriamo la temperatura uguale allo zero assoluto. Per T di non molto superiori la popolazione degli elettroni assume la distribuzione Fermi-Dirac, che tiene conto che se una banda non è del tutto completa, gli elettroni vicino al livel-lo di Fermi possono facilmente venire promossi ai vicini livelli vuoti, diventando mobili e guadagnando la possibilità di spostarsi lungo il solido.
Un superconduttore è, invece, un materiale che conduce elettricità senza opporre resistenza, o meglio opponendole una resistenza molto minore di quella dei metalli (basti pensare che i recenti materiali superconduttori hanno resistenza 10-27 Ωcm, contro quella del rame che è nell’ordine di 10-7 Ωcm). Grazie a questa loro pecu-liarità, i superconduttori sono da subito stati oggetto di grande interesse e oggi so-no proficuamente usati per realizzare acceleratori di particelle, sistemi medici, bi-nari per treni a levitazione magnetica, ecc.
Scoperti agli inizi del secolo scorso da Onnes, che scoprì che l’elio ad 1K si pre-sentava come un superconduttore, ormai i moderni materiali superconduttori pre-sentano Tc (ovvero temperatura critica sopra la quale non si verifica più il feno-meno della superconduttività) molto più elevate, come quelli appartenenti alla classe dei Copper Oxides, di cui fa parte anche il composto Y-Ba-Cu-O che pre-senta una Tc superiore a quella dell’azoto liquido. La superconduttività ha origine dalle Coppie di Cooper, ovvero coppie di elettroni si formano indirettamente gra-zie agli spostamenti degli atomi che costituiscono il reticolo: se un elettrone si trova in una regione del solido, i nuclei circostanti tendono ad avvicinarsi, creando una struttura locale distorta ricca di carica positiva, che attirerà un secondo elet-trone; quindi è come se i due elettroni si muovessero appaiati. La distorsione loca-le si distruggerebbe facilmente a causa dell’agitazione termica degli ioni, perciò questi materiali presentano la necessità di condizioni di temperatura molto basse. La coppia di elettroni di Cooper subisce meno diffusione di un elettrone singolo, poiché i due elettroni si “richiamano” a vicenda, e quindi sono in grado, di tra-sportare liberamente la carica all’interno del solido e dare origine alla supercon-duzione.


Fantastico, incollandole da word non sparisce la sillabazione. Esilarante
 
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Giun2o
view post Posted on 12/2/2011, 20:26




terza facoltà?
 
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1 replies since 15/10/2009, 13:57   9731 views
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